Dopo la guerra, nel 1919, la gestione della farmacia passò ad altri due soci, Pietro Marzocchi e Francesco Redi, imparentato con quel Francesco Redi (1627-1697), aretino, membro dell’Accademia del Cimento, finissimo letterato, medico e ricercatore, che scrisse una pagina importante nella storia delle scienze.
Durante la guerra, i giovani soci lavorarono duramente come sottotenenti alla farmacia Militare di Arezzo e poterono acquistare e risistemare la farmacia, solo grazie agli aiuti economici delle famiglie e di conoscenti.
Furono loro a commissionare all’artigiano D’Anelon quegli arredi che ancora oggi la farmacia utilizza nella sala vendite. Dopo un’operazione di restauro, la scaffalatura e il banco di vendita appaiono come quando furono realizzati: Legno di abete verniciato in color crema con fondo delle vetrine rosso scarlatto.
Negli scaffali più alti, ci sono ancora i vasi che appartenevano al corredo originario Boldi Mascagni: 140 vasi a urna, decorati con foglie di alloro o con foglie di capelvenere. Provengono tutti dalle fornaci di Montelupo e sono identici a quelli della vicina “Antica farmacia del Cervo”. Probabilmente i titolari delle due farmacie ne acquistarono un lotto insieme per ottenere un prezzo più vantaggioso.
Di fronte all’entrata, alle spalle del banco di vendita, agli estremi della parete di fondo , due porte con un vetro a specchio sormontate da un decoro a conchiglia conducono al retro, dove si trovano il magazzino e il laboratorio.
Sopra la scaffalatura capeggia un orologio circolare sostenuto ai lati da due draghi. Se con la fantasia, davanti a quell’orologio, facessimo tornare indietro il tempo a sessant’anni fa, non sarebbe affatto difficile immaginare il profumo delle caramelle d’orzo appena tagliate che faceva accorrere tutti i ragazzi. Infatti, Il farmacista regalava loro i ritagli!
Allo stesso modo possiamo immaginare il suono del campanello della bicicletta del fattorino del manicomio, che veniva a ritirare i medicinali dalle mani del farmacista fiduciario, Francesco Redi.
Arrivava, racconta la figlia Giuiana, con un cestone di vimini sul quale il farmacista disponeva i medicinali, raccomandandosi: “Vai piano! Non cascare! E consegna tutto direttamente nelle mani del direttore! Mi raccomando!”
La pericolosità delle sostanze stupefacenti utilizzate richiedeva una precisione assoluta: per poter preparare questi galenici con il massimo scrupolo, il farmacista lavorava a porte chiuse sia di giorno che di notte.